I “Welfaristi” dei diritti degli animali: un ossimoro. Joan Dunayer

“Gassate i polli!” Uno slogan immaginario, troppo moralmente ripugnante per essere vero. Eppure, alcuni gruppi per la tutela degli animali, tra cui PETA e United Poultry Concerns, hanno chiesto che i macelli utilizzino il gas per uccidere i polli nelle casse utilizzate per il loro trasporto, anziché lasciarli coscienti mentre vengono incatenati per le zampe, paralizzati con l’elettricità e sottoposti al taglio della gola. L’assassinio di massa dei polli è ingiusto, non necessario e invariabilmente crudele. Esortare a che i polli vengano gassati, invece, suggerisce altrimenti. Suggerisce che il problema sta nel modo in cui vengono uccisi. Una campagna a favore di una macellazione meno crudele propone un nuovo metodo per commettere un omicidio di massa. Una campagna simile è “welfarista”.

Le campagne “welfariste” promuovono l’idea per cui animali ridotti in schiavitù e macellati possano conoscere il benessere (welfare). Il welfare autentico è incompatibile con la riduzione in schiavitù, la macellazione ed altri abusi, per questo metto le virgolette al termine welfare quando il termine viene usato a proposito di un danno specista. Le campagne “welfariste” sono contro i diritti. Sostengono modi diversi di violare i diritti morali dei non umani. Le cosiddette campagne per la macellazione umanitaria difendono un modo diverso di violare il diritto alla vita dei non umani. Le campagne a favore di una detenzione meno dura difendono un modo diverso di violare il diritto alla libertà dei non umani.

La PETA ha fatto pressioni su McDonald’s, Burger King e Wendy’s chiedendo che i loro fornitori di uova e carne tenessero imprigionati gli animali nonumani in un modo meno crudele. Tali ristoranti adesso hanno specificato, tra l’altro, che i propri fornitori di uova sono tenuti ad aumentare lo spazio a disposizione di una gallina ovaiola da 48 a 67 pollici quadrati (da 122 a 170 centimetri quadrati). Una gallina ha il diritto morale non a essere imprigionata né in 48 né in 67 pollici quadrati. Molti attivisti hanno inneggiato “Cosa vogliamo? Diritti per gli animali! Quando lo vogliamo? Adesso!”. Con buone ragioni, nessun attivista ha gridato “Cosa vogliamo? Gabbie leggermente più grandi! Quando le vogliamo? Quando McDonald’s o altri sfruttatori di massa chiederanno ai loro fornitori di usarle!”. Ogni tentativo di lavorare assieme alle industrie dello sfruttamento degli animali, anziché contro di loro, dovrebbe far innalzare un’enorme bandiera rossa. E’ moralmente sbagliato sfruttare un non umano a prescindere dalla disponibilità di spazio, dal fatto che lo si faccia all’interno o all’esterno di una gabbia. Questo è il messaggio che i difensori degli animali dovrebbero trasmettere.

Non abbiamo bisogno di mangiare parti del corpo di polli uccisi con il gas o con altri metodi, qualunque essi siano. Non abbiamo bisogno di mangiare uova ottenute da galline tenute prigioniere in gabbie o in qualsiasi altro metodo. Non abbiamo bisogno di mangiare alcun cibo ottenuto da un animale non umano. Anziché chiedere una macellazione o una detenzione meno crudeli, dovremmo promuovere il veganismo. La semplice pubblicità data alle realtà dello sfruttamento dei non umani può spingere molte persone a diventare vegan. Persuadere la gente ad adottare uno stile di vita vegan fa ridurre il numero dei non umani che soffrono e muoiono. E fa ridurre anche il sostegno popolare alle industrie della carne, della vivisezione e delle altre forme di sfruttamento dei non umani, affrettando il giorno in cui queste potranno essere proibite.

Alcuni attivisti abbracciano sia il “welfarismo” che il veganismo. Il loro “welfarismo” impedisce la diffusione del veganismo perché implica che lo sfruttamento dei non umani sia inevitabile, e quindi accettabile se viene condotto in modo “umanitario”. Il nostro messaggio al pubblico dev’essere chiaro e coerente: non abbiamo bisogno di sfruttare altri animali; farlo è ingiusto e provoca sempre sofferenza. Proprio come chi è un modello di comportamento per il veganismo deve aderirvi nella vita reale, i portavoce del veganismo devono aderirvi nel fare pressione sugli altri. Non avrebbe senso sostenere il veganismo indossando pelle di mucca e mangiando carne di maiale. Né avrebbe senso farlo se, un momento dopo, ci si dedicasse a sostenere la produzione di carni o uova presumibilmente più saporiti. Per avere pieno potere, la nostra opposizione allo sfruttamento dei non umani dev’essere inequivocabile.

Dovremmo sostenere tenacemente i diritti dei non umani - vale a dire, la loro emancipazione. I “welfaristi” che si autodefiniscono attivisti “per i diritti degli animali” sottolineano il concetto dei diritti dei non umani. Queste persone confondono la gente facendo pensare che l’imprigionamento, la macellazione e altri abusi specisti possano essere coerenti con i diritti dei non umani. I “welfaristi” sostituiscono il diritto alla vita dei non umani col “diritto” a essere assassinati in un modo che implichi meno terrore e dolore. Essi restringono il diritto alla libertà dei non umani col “diritto” ad essere imprigionato ingiustamente in uno spazio più ampio. In realtà chi manca dei diritti di base –alla vita e alla libertà- non ne ha nessun altro.

Mentre promuoviamo l’emancipazione totale, possiamo realizzare obiettivi parziali, attraverso divieti di tipo abolizionista (cioè tendenti all’emancipazione). Come minimo, ogni divieto abolizionista protegge taluni animali da alcune forme di sfruttamento, impedisce che gli animali accedano a situazioni di sfruttamento e può essere in grado di sottrarne alcuni da uno sfruttamento già iniziato. Ad esempio, vietare che gli elefanti siano protagonisti di “attività animali” li emancipa dai circhi e da altre situazioni in cui dovrebbero esibirsi. Vietare la caccia agli orsi impedisce che vengano feriti o uccisi; si previene un abuso, anziché modificarlo. Gli attivisti possono lavorare per numerosi divieti di tipo abolizionista, inclusi i divieti riguardanti i prodotti di pelliccia, il foie-gras, la clonazione di animali domestici, la detenzione di animali marini in prigioni acquatiche. Per adesso, i divieti abolizionisti non emanciperanno molti nonumani, ma alcuni sì, e si muovono nella giusta direzione. Non potremo vietare i prodotti specisti più diffusi (come la carne di pesce, il latte di mucca e le uova di gallina) finché non costruiremo un’opposizione popolare a quelle altre pratiche.

Quando non si possono ottenere dei divieti abolizionisti, ci si può impegnare in boicottaggi abolizionisti. Nonostante siano privi della forza della legge, i boicottaggi possono essere altamente efficaci. Una campagna come “Boicotta le uova!” promuoverebbe l’emancipazione delle galline. Convincendo più persone a smettere di acquistare uova, si diminuirebbe il numero delle galline sofferenti e al contempo aumenterebbe l’opposizione all’intera industria delle uova. Allo stesso modo, un boicottaggio di prodotti per l’igiene personale sperimentati su animali ridurrebbe la vivisezione e stimolerebbe la domanda di prodotti cruelty-free. Oltre a boicottare determinati prodotti, gli attivisti possono boicottare anche particolari istituzioni speciste, come le corse di cavalli e gli zoo.

Generalmente, i “welfaristi” dicono: “Sostengo tutto quello che riduce la sofferenza degli animali”. A lungo termine, le misure “welfariste” aumentano la sofferenza perché fanno perpetuare lo sfruttamento. Prendiamo la legge americana sui metodi umanitari di macellazione (Humane Methods of Slaughter Act, HMSA). Se si è del tutto informati su quello che succede all’interno dei mattatoi, si sa che l’HMSA viene completamente meno all’obiettivo di proteggere gli animali non umani. Principalmente, esso rafforza il sostegno del pubblico alla macellazione, legittimando l’industria della carne e dando la falsa impressione che le vittime siano uccise “in modo umanitario”, Le misure “welfariste” sono ampiamente inutili perché lasciano gli animali nelle mani dei loro oppressori. Solo misure tendenti all’emancipazione, che onorano i diritti morali degli animali, possono proteggere in modo adeguato i non umani. L’autentico welfare non umano richiede la libertà dallo sfruttamento.

Joan Dunayer è l’autore di “Animal Equality: Language and Liberation”, 2001 e del più recente “Speciesism”, entrambi editi negli USA da Ryce Publishing.



Articolo originale in inglese: ( http://www.satyamag.com/mar05/dunayer.html )
Traduzione a cura di Roberta Seclì.