Abolizione dello sfruttamento animale: il viaggio non comincerà finché faremo passi indietro. Gary L. Francione

Nota di traduzione: nel seguente testo si utilizza il maschile come generico con l’unico fine di facilitare la lettura e comprensione del testo. Non è intenzione dell’autore né del traduttore utilizzare un linguaggio sessista o discriminatorio.


In The Longest Journey Begins with a Single Step: Promoting Animal Rights by Promoting Reform (Il viaggio più lungo inizia con un semplice passo: promuovendo i diritti animali promuovendo riforme) (http://www.satyamag.com/sept06/singer-friedrich.html), Peter Singer e Bruce Friedrich di PETA affermano che una “strana” controversia si è sviluppata “negli ultimi anni” riguardo a se i difensori dei diritti animali dovessero perseguire il protezionismo animale come un mezzo per raggiungere i diritti animali. Questa controversia non è né “strana” né “recente”.
La controversia non è “strana” perché esiste un’inconsistenza fondamentale tra la regolazione dello sfruttamento animale e la sua abolizione. La controversia non è “recente”, dato che la tensione tra i diritti e il protezionismo è stata in continuo movimento animalista durante gli ultimi quindici anni. Quello che è “recente” è che c’è un movimento mondiale emergente di attivismo di base, che sta questionando l’egemonia delle organizzazioni corporative di protezionismo animale che hanno dominato il movimento, e che sta cercando di formulare un paradigma abolizionista alternativo. Pertanto, non risulta sorprendente che Singer, essendo il principale difensore dell’ideologia del protezionismo, e PETA, che applica quella ideologia e che ritiene che qualsiasi discussione sia “divisionista” e che minacci “l’unità” del movimento, stiano esprimendo la loro preoccupazione.

Ci sono almeno cinque motivi per i quali un abolizionista deve rifiutare il punto di vista protezionistico presentato nel testo di Singer/Friedrich.




1. Protezionismo Animale: rendere più efficiente lo sfruttamento.


Singer e Friedrich affermano che le riforme protezionistiche riconosceranno che gli esseri non-umani hanno “diritti” ed “interessi” e che le riforme allontaneranno progressivamente dagli animali lo status di proprietà o mercanzia che ha solo valore estrinseco o condizionale.
Stanno sbagliando. Le riforme che loro appoggiano non hanno niente a che vedere con il riconoscere agli animali interessi moralmente significativi che devono essere protetti anche quando non c’è un beneficio economico per gli esseri umani.
Per lo più, queste riforme, come molte misure di protezionismo animale, non fanno altro che rendere lo sfruttamento animale più economicamente redditizio per gli sfruttatori di animali e inseriscono ancora di più gli animali nel paradigma di proprietà.
Per esempio, consideriamo la campagna che ha portato ad un accordo con McDonald’s che richiede standard in teoria più “umanitari” nei mattatoi e l’aumento dello spazio per le galline da batteria.

Singer applaude queste azioni di McDonald’s, che sono state eseguite anche da Wendy’s e Burger King, come un “raggio di speranza” e “il primo segno di speranza per gli animali degli allevamenti americani da quando ebbe inizio il movimento animalista moderno”. (N.Y. Rev. of Books, 15 maggio 2003), Friedrich afferma che “c’è stato un cambiamento reale di coscienza” per quanto riguarda il trattamento degli animali utilizzati come cibo (L.A. Times, 29 aprile 2003), e Lisa Lange di PETA si congratula con McDonald’s per “dirigere il cammino nel riformare le pratiche di fornitori di fast-food riguardo al trattamento e uccisione del proprio bestiame e pollame”. (L.A. Times, 23 febbraio 2005).

Gli standard dei mattatoi approvati da Singer e PETA furono sviluppati da Temple Grandin, designer di sistemi di maneggio ed uccisione “umanitari”.
Le direttive di Grandin, che includono tecniche per muovere gli animali attraverso il processo di uccisione e stordimento, sono basate esplicitamente su preoccupazioni economiche. In accordo con Grandin, il maneggio adeguato degli animali che saranno sacrificati “garantisce all’industria della carne di funzionare con sicurezza, efficienza e con benefici economici”. Lo stordimento appropriato è importante perchè “produrrà carne di miglior qualità. Lo stordimento elettrico inappropriato causerà coagulazione di sangue nella carne e la frattura di ossa... Un animale stordito in modo appropriato produrrà un corpo fermo sul quale è sicuro per gli operai dell’industria lavorare.” Lei sostiene che “il trattamento attento ben disegnato minimizzerà i livelli di stress, migliorando l’efficienza e il mantenimento di una buona qualità di carne.
Il maneggio brusco o l’attrezzatura poveramente disegnata è a danno sia del benessere degli animali, sia della qualità della carne.” (www.grandin.com)

Discutendo in modo generale sull’uccisione e i miglioramenti nelle gabbie a cui si riferisce Singer e Friedrich, McDonald’s afferma: “gli animali che sono ben trattati sono meno inclini a malattie, ferite e stress, tutto ciò ha lo stesso impatto negativo sia sulle condizioni dei bovini, sia sulla gente.
Le pratiche appropriate di protezionismo animale portano benefici anche ai produttori.
L’attuazione delle nostre linee direttive di protezionismo animale aiuta ad assicurare una produzione efficiente e riduce gli scarti e le perdite. Questo permette ai nostri fornitori di essere altamente competitivi”. (www.mcdonalds.com)

Wendy’s enfatizza anche l’efficienza nel suo programma di protezionismo animale: “Gli studi hanno dimostrato che i metodi umanitari di maneggio degli animali non solo prevengono la sofferenza non necessaria, ma possono portare anche ad un ambiente di lavoro più sicuro per i lavoratori implicati nell’industria degli allevamenti e del bestiame.” (www.wendys.com)
In una notizia riguardante le riforme volontarie dell’industria dei bovini, il giornale Los Angeles Times affermò che “in parte, le riforme sono dirette a propri interessi. Quando un animale ha delle ferite, la sua carne diventa molle e dev’essere scartata. Persino lo stress, specialmente appena prima dell’uccisione, può intaccare la qualità della carne.” (29 Aprile 2003).

Questo esempio (e ce ne sono molti ancora) illustra come i produttori di prodotti animali, lavorando con notevoli attivisti animalisti, stanno migliorando lo sfruttamento animale in un modo economicamente efficiente mediante l’adozione di misure che migliorano la qualità della carne e la sicurezza dei lavoratori.
Ma questo non ha assolutamente niente a che vedere col fatto di riconoscere agli animali valori inerenti o diritti che dovrebbero essere rispettati, anche quando farlo non è un beneficio economico per gli esseri umani.
I cosiddetti miglioramenti nel benessere animale sono, per di più, limitati a, e giustificati per il beneficio economico degli sfruttatori e consumatori di animali.
Inoltre, i grandi sfruttatori corporativi di animali possono ora puntare al fatto che attivisti come Singer e PETA li stanno lodando per il loro trattamento supposto “umanitario” degli animali non-umani.
PETA offrì in una forma abbastanza importane il suo premio "Visionaria dell'anno 2005" a Grandin, la quale è assessore di McDonald’s e di altre catene di fast food, per i suoi “miglioramenti innovativi” nei processi di uccisione e Ingrid Newkirk di PETA lodava Grandin per “aver fatto di più per ridurre la sofferenza nel mondo di qualunque altra persona che sia vissuta” (New Yorker, 14 Aprile 2003).

Ci sono anche seri dubbi sul fatto che questi cambiamenti porteranno realmente miglioramenti significativi nel trattamento degli animali, a parte sulla questione dello sfruttamento industriale efficiente.
Un mattatoio che segue le direttive di Grandin per stordire, per quanto riguarda il lavoro di sgozzamento e altri aspetti del processo di uccisione, continua ad essere un luogo indescrivibilmente orribile.
Le galline di batteria che provengono da qualunque grande catena di fast-food possono vivere ora in un’area che è equivalente ad un quadrato di circa 81⁄2 pollici, invece dello standard dell’industria in un quadrato di circa 7 pollici, però sarebbe senza senso affermare che l’esistenza di una gallina di batteria è qualunque cosa eccetto miserabile.





2. Protezionismo Animale: facendo in modo che il pubblico stia più comodo riguardo allo sfruttamento animale

Singer e Friedrich affermano senza nessuna base che le riforme di protezione animale porteranno ad una maggiore protezione degli animali e quindi alla “liberazione animale” (più avanti si tratterà maggiormente su questo argomento). Abbiamo avuto protezionismo animale già da 200 anni, e non c’è alcuna evidenza di come le riforme di protezionismo portino ad una protezione significativa degli interessi degli animali, ancor meno all’abolizione.

Di fatto, stiamo utilizzando oggigiorno sempre più animali non-umani, e in modi sempre più orribili, rispetto a qualunque altro momento della storia.
Per quanto riguarda i miglioramenti che abbiamo realizzato in alcuni aspetti del trattamento verso gli animali, questi miglioramenti, per la maggior parte, si sono limitati a rendere lo sfruttamento più redditizio. E’ possibile anche, in teoria, andare oltre a questo livello minimo di protezione animale; poiché lo stato dei non-umani come proprietà e la preoccupazione risultante per massimizzare il valore della proprietà animale milita fortemente contro qualsiasi miglioramento significativo nel nostro modo di trattare gli animali ed assicura che il protezionismo animale consisterà poco più che rendere lo sfruttamento animale più economicamente efficiente e socialmente accettabile.
In qualunque caso, le riforme che Singer e Friedrich propongono, e che vengono promosse attualmente dalle organizzazioni corporative di protezionismo animale negli Stati Uniti, non vanno oltre il livello minimo.

Singer e Friedrich affermano che le persone critiche del protezionismo stanno dicendo “che prima di queste riforme, grandi quantità di persone stavano rinunciando a mangiare carne, ma che ora hanno deciso che, dato che gli animali non sono trattati tanto male, possono mangiare carne di nuovo”. Né io né nessun altro critico di protezionismo animale che io sappia ha mai detto una cosa del genere. Ciò che dico è che il protezionismo animale chiaramente non è dipeso dalla grande quantità di non-vegan che cambiano il proprio comportamento e rifiuta di consumare carne o altri prodotti animali, e che le riforme protezionistiche non sembra che porteranno a questa direzione in un futuro vicino, per la stessa ragione che queste riforme fanno in modo di far sentire la gente più comoda rispetto allo sfruttamento animale.

Questa comodità è il messaggio esplicito del movimento protezionistico.
I difensori degli animali affermano che posiamo “consumare con coscienza” (N.Y. times, 6 Ottobre 2004, affermazione di Paul Waldau).
Di fatto, nel recente libro di Singer “The Way We Eat: Why Our Food, Choices Matter", lui e il co-autore Jim Mason affermano che possiamo essere “onnivori coscienziosi” e sfruttare gli animali eticamente se, per esempio, decidiamo di mangiare solo animali che sono stati ben allevati ed uccisi senza dolore ed angoscia.

Il messaggio che manda questa impostazione è molto chiaro, e se Singer e Friederich pensano realmente che non incoraggia al consumo di prodotti animali, allora si stanno sbagliando. In più, le riforme protezionistiche possono incrementare la domanda e la pura sofferenza degli animali. La relazione tra aumentare la domanda e gli standard “umanitari” è riconosciuta dalle stesse persone favorevoli al protezionismo. Per esempio, la letteratura prodotta dalla Human Society degli Stati Uniti promuove la sua campagna per più alternative “umanitarie” alle celle di gestazione per le scrofe, ed afferma esplicitamente che l’adozione di sistemi alternativi può provocare un aumento della domanda o ricompense mercantili per i produttori.

Mi piacerebbe condividere con te una storia, anche se si tratta di un aneddoto, che illustra il problema. Quando il negozio “Whole Foods” aprì vicino casa mia, vendeva prodotti di carne però non avevano un reparto di carne fresca e pesce.
Adesso hanno un reparto di carne fresca e pesce. Ci sono anche cartelloni nel negozio che annunciano la “Fondazione Compassionevole Animale” fondata da Whole Foods, che raccoglie fondi affinché gli allevatori possano sviluppare modi “più umanitari” di allevare gli animali non-umani.

Tante settimane fa, stavo camminando vicino ad una vetrina di carne e dissi ad un impiegato che stava lì, che pensavo fosse un peccato che Whole Foods vendesse cadaveri. L’impiegato mi rispose: “Sa che PETA ha dato un premio a Whole Foods per come tratta bene gli animali?” Sì, certamente. Oltre a dare un premio a Temple Grandin, PETA premiò anche Whole Foods per “richiedere che i suoi prodotti aderiscano a standard rigorosi”. (www.peta.org).
The Way We Eat tratta su Whole Foods e possiede pagine e pagine di elogi e lodi verso la compagnia come un venditore di prodotti animali eticamente responsabile.
Lasciando da parte che ci siano alcuni seri dubbi riguardo agli “standard rigorosi”, che PETA e altri lodano che abbiano effetti rilevanti sulla vita e la morte degli animali di cui i cadaveri sono venduti in Whole Foods (un articolo di prossima uscita del professor Darian Ibrahim dell’Università dell’Arizona sostiene che gli standard sono inesistenti), questo tipo di impostazione può solo aumentare la confusione dove dovrebbe esserci chiarezza e induce la gente a credere che possiamo “consumare con coscienza”, quello che serve per perpetuare e legittimare il consumo di prodotti animali. Utilizzando le parole di un critico di “The Way We Eat” in Amazon.com: “Non devi diventare vegetariano, nemmeno vegano, anche se esserlo sarebbe una buona forma di vita, sia moralmente sia per la salute, però il libro sicuramente ti induce a comprare in un negozio Whole Foods e comprare polli che vivevano liberi e fare in modo che la tua provvigione di cibo provenga da un posto decente”.





3. L’obiettivo? Quale obiettivo?

Singer e Friedrich parlano di come il protezionismo promuova i “diritti degli animali” ed affermano che l’opposizione al protezionismo animale è “controproducente per l’obiettivo della liberazione animale che tutti condividiamo”. Esattamente che obiettivo è quello che tutti condividiamo?

Singer è un utilitarista che costantemente respinge i diritti morali per i non-umani e per gli umani, inoltre utilizza il linguaggio dei diritti in maniera confusa quando gli conviene. Così, visto da fuori, coloro che sostengono che gli umani abbiano certi diritti morali, come il diritto a non essere schiavizzati o di non essere utilizzati come una merce da altri, non condividono l’obiettivo di Singer almeno per quanto riguarda gli umani. Per quanto riguarda invece i non-umani, Singer non si oppone all’utilizzo in sè della maggior parte degli animali; a lui preoccupa solo il modo in cui vengono trattati. In quanto a quello di cui stiamo parlando, è solo nel contesto di una preoccupazione di non poter essere capaci di assicurare un trattamento adeguato.
Ma il suo scopo non è l’abolizione di tutto lo sfruttamento animale: in base alla teoria morale di Singer, l’abolizione non può essere un suo obiettivo.

Singer ha sostenuto costantemente che la maggior parte dei non-umani non ha un interesse a continuare a vivere perché non sono auto-coscienti allo stesso modo in cui lo sono gli umani e, come risultato, non si preoccupano se li utilizziamo; loro si preoccupano solo di come li utilizziamo. Questo rispecchia la posizione di Jeremy Bentham, l’utilitarista del diciannovesimo secolo nel quale Singer basa la sua teoria.
Bentham affermò che, anche se gli animali possono soffrire -e pertanto erano interessanti dal punto di vista morale- gli animali non si preoccupano se, per esempio, li mangiamo. A loro importa solamente come li trattiamo fino a quando li mangiamo.

Questa posizione – cioè che il problema non è l’utilizzo di per sé, ma il maltrattamento – è la base dell’ideologia del protezionismo animale e differisce dalla posizione dei diritti animali di cui ho parlato. Sostengo che se gli animali hanno un interesse nel continuare ad esistere –ed affermo che qualsiasi essere senziente ha questo interesse– allora il nostro utilizzo di loro come risorsa umana –senza importanza di quanto “umanitariamente” li trattiamo- non può essere difesa moralmente e sostengo che dovremmo cercare l’abolizione dello sfruttamento animale e non la sua regolamentazione. Questo è un argomento nel quale anche Singer sbaglia visto che sostiene che sia possibile accettare le considerazioni di un qualunque interesse riconosciuto agli animali, pur continuando ad essere considerati proprietà degli umani.
Gli interessi delle proprietà quasi sempre sono considerati meno importanti rispetto agli interessi dei proprietari della proprietà.

Non devi approfondire molto in filosofia per poter valutare la natura della “liberazione animale” di Singer. Il libro più recente di Singer non solo sostiene che possiamo mangiare animali e prodotti animali in modo etico, ma contiene anche una rivelazione che ci può aiutare a farci un’idea su Singer e i suoi punti di vista riguardo alla violenza verso i non-umani. In “The Way We Eat” Singer e Mason ci raccontano che avevano scoperto che in un’industria di tacchini avevano bisogno di lavoratori per aiutare con l’inseminazione artificiale. “Eravamo curiosi e abbiamo deciso di vedere noi stessi cosa implicava questo lavoro”. Singer e Mason sono stati tutto il giorno “raccogliendo il seme e introducendolo nelle femmine”. Prendevano i tacchini mentre un altro lavoratore “schiacciava l’apertura finché si apriva del tutto e il seme bianco usciva. Utilizzando un tubo vuoto, glielo introducevano con una specie di siringa”. Singer e Mason allora dovevano “rompere” le femmine, il che implicava imprigionarle “in modo che il loro ano fosse retto e completamente aperto”. L’incaricato all’inseminazione introduceva un tubo dentro la femmina e utilizzava una raffica d’aria compressa per introdurle il seme dentro.

E non sono stati solo i tacchini a passare dei brutti momenti. Singer e Mason si lamentano che quel giorno nella fattoria di tacchini quello è stato il “lavoro più duro, veloce, sporco, più disgustoso e peggior pagato che avessero mai fatto fino a quel momento. Durante dieci ore hanno preso e maneggiato tacchini, agitandole a testa in giù, davanti ai loro ani che li costringevano ad aprire, schivando i loro escrementi, mentre respiravano aria piena di polvere e piume perse da parte del pollame in panico”. Tutto questo sommato al “ricevere una cascata di abusi verbali da parte del responsabile. Siamo rimasti solo un giorno.” Ci si domanda se Singer e Mason sarebbero tornati il secondo giorno se le condizioni di lavoro fossero state migliori.

E’ profondamente indignante che Singer e Mason considerino moralmente accettabile il partecipare alla violenza contro i non-umani per qualsiasi proposito, specialmente per soddisfare la loro curiosità su “quello che questo lavoro veramente implica”. Non c’è modo non-specista di giustificare quello che Singer e Mason affermano di aver fatto senza anche giustificare l’atto di violentare una donna o l’abuso di un bambino, per vedere ciò che quelle azioni di violenza “veramente implicano”. Può essere che le perverse azioni di Singer con i tacchini possa spiegarsi con l’affermazione fatta nel 2001 su Nerve.com, dove diceva che “il sesso con gli animali non sempre implica crudeltà” e che possiamo avere un contatto sessuale con animali “mutuamente soddisfacente”. Comunque, se la violenza contro i non-umani è permessa sotto la teoria di Singer, non abbiamo bisogno di sapere nient’altro prima di concludere che la teoria ha dei seri errori e che i suoi obiettivi non sono probabilmente, al contrario di ciò che pensa Singer, quelli che condividiamo tutti.

Per quanto riguarda gli obiettivi di Friedrich e PETA, una cosa è chiara dopo tanti anni, ed è che la comprensione di PETA sui “diritti animali” è, a dir poco, idiosincratica. Per citare un solo esempio tra tanti, nessuna teoria di diritti animali che io conosca permetterebbe l’uccisione in massa dei non-umani sani, come è successo nel “santuario” di Aspen Hill di PETA nel 1991, o, più recentemente negli uffici corporativi di PETA e da parte di impiegati di PETA che in teoria ingannano per conseguire animali sani che vengono successivamente uccisi e buttati nell’immondizia.
Penso che se sei d’accordo con Singer –che gli animali che PETA uccise non avevano un certo interesse nelle loro vite, ma solo volevano una morte “compassionevole”- questo ha senso per te. Tuttavia io sarei in disaccordo.

Quando gli attivisti degli animali questionano i protezionisti di corporazioni, la risposta più comune è dire che tutti abbiamo lo stesso obiettivo, tutti stiamo lavorando per gli animali, e che la discussione minaccia l’unità del movimento. Allo stesso modo il “consumo compassionevole” e la nozione di “unità del movimento” sono una finzione utilizzata per mantenere il controllo sul discorso e le strategie. Non c’è un’unità del movimento perché esiste una differenza enorme tra la posizione diritti/abolizionista e quella di protezionismo/regolamentazione, e tra chi sostiene che dovremmo essere così “fanatici” (per usare la descrizione di Singer) sullo specismo come lo siamo sullo sfruttamento umano, e chi, come Singer, non lo sono. Le proclamazioni sull’“unità” del movimento sono semplicemente un altro modo di dire agli attivisti che non devono mettere in discussione il controllo del movimento da parte dei protezionisti corporativi.





4. Protezionismo Animale o Niente: la falsa dicotomia.


Singer e Friedrich sostengono che chi è preoccupato per i non-umani ha due opzioni: cercare il protezionismo animale o non fare niente per aiutarli. Questo implica che la posizione abolizionista è troppo idealista e non può proporzionare una strategia da seguire a corto termine. Questo è uno stratagemma comune dei protezionisti e non è chiaro per me se veramente credono quello, o se è solo uno slogan. In qualunque modo, Singer e Friedrich ci pongono davanti a una falsa dicotomia.

Stiamo provocando dolore, sofferenza e morte a milioni di non-umani ogni anno. Nessuno –persino l’abolizionista più convinto- sostiene che possiamo fermare questo dalla mattina alla sera o, di fatto, in poco tempo. Il problema che affronta l’attivista è cosa fare adesso. Inoltre, viviamo in un mondo di tempo limitato e con risorse limitate. Non possiamo fare tutto. Quindi, la questione –almeno per coloro che hanno l’obiettivo abolizionista- risulta essere: cosa dobbiamo scegliere di fare adesso per ridurre la sofferenza il prima possibile, ma che al tempo stesso sia consistente con la posizione abolizionista, e che possa costruire un movimento politico per successivi cambiamenti, sempre in una direzione abolizionista?

Io direi che il protezionismo non è la scelta razionale per l’abolizionista. E’ un po’ tardi per fare il gioco di promuovere il protezionismo animale come un “semplice passo” che ci porterà nel percorso del nostro lungo viaggio. Abbiamo speso migliaia di milioni di dollari, e quali risultati possiamo mostrare? Io ritengo che la risposta sia: niente e certamente niente che potrebbe essere descritto come un impiego efficiente delle nostre risorse limitate.
Singer e Friedrich citano l’Animal Welfare Act –una legge degli Stati Uniti d’America, che pretende la regolamentazione dell’utilizzo dei non-umani negli esperimenti e spettacoli e citano anche l’U.S. Human Slaughter Act, come esempi di leggi protezionistiche che lascerebbero gli animali in una situazione peggiore se non ci fossero. Io non sono d’accordo.

L’Animal Welfare Act, che non si applica al 90% dei non-umani utilizzati negli sperimenti, non impone limiti reali sostanziali riguardo a ciò che i vivisezionisti possono fare con gli animali in laboratorio. Proporziona invece, una risorsa destinata alla comunità scientifica e alle persone come Singer e Friedrich, per indicare e assicurare al pubblico che esiste una regolamentazione della vivisezione. L’U.S. Human Slaughter Act –che non si applica alla maggioranza degli animali che ci mangiamo- si concentra, in qualunque modo, nel ridurre il danno ai cadaveri e migliorare la sicurezza dei lavoratori. Di nuovo, il suo principale scopo è fare in modo che i consumatori si sentano più comodi. Questa legge non pretende più protezione di quella che un proprietario razionale darebbe in primo luogo, e ci sono tantissimi esempi in cui il governo degli Stati Uniti d’America non ha applicato questa legge.

Singer e Friedrich citano anche come esempio del progresso del protezionismo animale che “le modifiche della densità delle galline ovaiole, anche se sono state poche, significano che le condizioni sono andate da un 20% di morte in un anno a 2% o 3% annuo”. Questo è particolarmente ridicolo, dato che il 100% delle galline e dei polli saranno finalmente uccisi.

Qualunque riduzione delle morti prima del mattatoio mantiene il pollame vivo durante più tempo in condizioni orribili e aumenta i benefici degli sfruttatori. Dunque, i protezionisti hanno avuto successo nell’educare gli sfruttatori su come, utilizzando parole di McDonald’s, “assicurare una produzione efficiente e ridurre […] le spese e perdite”. Singer e Friedrich possono trovare questo eccitante. Io no.

Dunque, cosa può fare oggi un abolizionista in modo tale da ridurre la sofferenza in tempi brevi in modo efficiente e che sia coerente col fine abolizionista? Il punto di vista abolizionista proporziona una guida pratica in tantissimi aspetti.
Lo strumento più importante di cambiamento progressivo è la decisione dell’individuo di diventare vegano. Il veganesimo, o il rifiuto a tutti i prodotti animali, è molto di più di una questione di dieta o stile di vita; è un’affermazione politica e morale nella quale l’individuo accetta il principio di abolizione nella sua propria vita.
Il veganesimo è l’unico traguardo veramente abolizionista che tutti possiamo raggiungere, e raggiungerlo immediatamente, iniziando con il nostro prossimo cibo.
Se facciamo diventare effettivo un cambio significativo nel nostro trattamento degli animali e vogliamo porre fine un giorno a quell’uso, è un imperativo che ci sia un movimento politico e sociale che cerchi attivamente l’abolizione e consideri il veganesimo come parte della linea morale di base. Non c’è, ovviamente, distinzione tra la carne e altri prodotti animali tali come le uova, i latticini, o tra le pellicce, cuoio, seta o lana.

La maggior parte delle organizzazioni nazionali della difesa animale negli Stati Uniti si concentrano nel benessere animale, anche se fanno qualche servizio al veganesimo. Un eccellente esempio di questo è PETA. Da un lato PETA sembra promuovere il veganesimo. Dall’altro lato le campagne di PETA sono, per la maggior parte concentrate nella regolazione tradizionale di benessere e PETA promuove attivamente e in modo confuso il concetto di prodotti animali ottenuti “umanitariamente”.
Non c’è, ciononostante, nessun sentimento nel quale il veganesimo sia promosso come una linea morale alla base del movimento. In cambio, il veganesimo è presentato meramente come un’elezione opzionale di stile di vita ed è frequentemente presentato come difficile e solo per i pochi convinti, invece di essere una forma facile di eliminazione dello sfruttamento.

Il movimento corporativo, del quale molti dei “lider” non sono essi stessi vegani, presenta la posizione abolizionista/vegana come l’“estremo” o posizione “radicale”, facendo si che la posizione “normale” o “maggioritaria” sia quella nella quale intendiamo “consumare con compassione”.
Di fatto, Singer afferma che “non dobbiamo essere fanatici” sulla questione dell’alimentazione e che “un po’ di auto-indulgenza se puoi mantenerla sotto stretto controllo” è accettabile (The Way We Eat, 281, 283).
Per certo, mai diremmo che “un po’ di auto-indulgenza” è accettabile quando ci riferiamo a violazioni, assassinati, abusi su minori o altre forme di sfruttamento umano, però lui così soprannominato “padre del movimento dei diritti animali” ci assicura che “un po’di auto-indulgenza” al partecipare come consumatori nell’uccisione brutale di essere non-umani non è niente di cui preoccuparsi.
E’ accettabile, di fatto è prevedibile, essere “fanatico” in quanto al non abusare di bambini o altre forme serie di sfruttamento umano, però Singer ci dice che è accettabile essere flessibili quando ci si riferisce allo sfruttamento di non-umani.

Un movimento che cerca l’abolizione deve avere il veganismo come principio basilare e non dovrebbe come sua posizione “principale” il fatto di poter essere “onnivori coscienti” che possono “consumare con compassione”. Dobbiamo essere chiari. Il consumo “compassionevole” è un mito insidioso. Tutti i prodotti animali, includendo quelli sigillati insidiosamente come “Certificato di Maneggio e Allevamento Umanitario” da diverse organizzazioni corporative di benessere animale, implicano una brutalità indescrivibile.
L’educazione abolizionista e sul veganismo, includendo i boicottaggi, le dimostrazioni pacifiche, i programmi educativi per le scuole, ed altri atti non-violenti dedicati ad informare la società sulle dimensioni morali, medio-ambientali e di salute del veganismo e l’abolizione proporzionano strategie pratiche e graduali, tanto in termini di ridurre la sofferenza animale adesso, come in termini di costruire un movimento nel futuro che sia capace di ottenere legislazioni più significative in forma di proibizioni, invece di mere regolamentazioni “umanitarie”.

Se, alla fine degli anni Ottanta, –quando la comunità di difesa animale negli Stati Uniti decise molto deliberatamente di seguire un’agenda di protezionismo- una porzione sostanziale dei mezzi del movimento fossero stati investiti in educazione e promozione del veganismo, ci sarebbero certamente diverse centinaia di migliaia in più rispetto ad oggi.
Questa è una stima molto conservatrice, dati le centinaia di milioni di dollari che sono stati spesi dai gruppi di difesa animale per promuovere legislazioni e iniziative di benessere. L’aumento del numero di vegani ridurrebbe di più la sofferenza al diminuire la domanda di prodotti animali rispetto a tutti gli “esiti” di benessere sommati e moltiplicati per dieci.
Aumentare il numero di vegani aiuterebbe anche a costruire una base politica ed economica necessaria per il cambiamento legale. Dato che c’è un tempo limitato e i mezzi economici disponibili sono limitati, l’espansione del benessere animale non è un’elezione razionale ed efficiente se cerchiamo l’abolizione a lungo termine o anche se solo cerchiamo di ridurre lo sfruttamento animale a breve termine.

Singer afferma che la realtà è che “diventare vegano è tuttavia un passo abbastanza grande per la maggioranza” (The Way We Eat, 279).
Lasciando da parte il fatto che più gente potrebbe essere incline a farsi vegana se Singer e il movimento corporativo di benessere non dicesse loro che possono consumare prodotti animali “con compassione”, la soluzione è il veganesimo progressivo, non i prodotti animali “umanitari”.

Per esempio, una campagna con lo scopo di far sì che la gente consumi un pasto vegano al giorno, e poi due, e poi tre, è molto migliore che incitarla a consumare carne in modo “ecologico” in tutti e tre i pasti. Però il messaggio dovrebbe essere chiaro: veganesimo, e non “consumo compassionevole”, è il principio basilare di un movimento che promuove l’abolizione.
A questo punto, è molto poco probabile che la maggior parte delle campagne regolatrici e legislative che cercano di andare più in là delle tradizionali riforme di benessere abbiano esito; non c’è una base politica che sostenga tali riforme perchè il movimento corporativo non ha cercato di costruirla.

Ciononostante, se gli attivisti desiderano lavorare in tali campagne, queste dovrebbero come minimo implicare proibizioni e non regolamentazioni. Queste proibizioni riconoscerebbero che gli animali hanno interessi che vanno oltre a quelli che devono essere protetti per poter sfruttare gli animali e che non possono essere compromessi per motivi economici.
In nessun momento gli attivisti degli animali dovrebbero proporre alternative o sostituti presunti più “umanitari”. Per esempio, una proibizione sull’utilizzazione di animali in un tipo particolare di esperimento di una specie per un’altra. Ma voglio chiarire che non sono d’accordo con l’investimento di nessun mezzo in campagne regolatrici o legislative in questo momento. Il compromesso politico richiesto abitualmente risulta in genere nella ripugnante ricerca di benefici. In cambio, il movimento abolizionista dovrebbe concentrarsi nel veganismo, il quale è un modo molto più pratico ed effettivo di ridurre lo sfruttamento animale.

Sottolineo il fatto che il movimento abolizionista dovrebbe abbracciare un’impostazione non-violenta, tanto al livello delle interazioni individuali come una questione ideologica del movimento. Come ho argomentato tempo fa, il movimento di diritti animali dovrebbe guardare a se stesso come il seguente passo nel progresso del movimento pacifista; come un movimento che rifiuta l’ingiustizia.
Il problema dello sfruttamento animale è complicato ed implica radici che scavino nella nostra cultura patriarcale e nella nostra inquietante tolleranza della violenza contro i vulnerabili. Non solo la violenza è problematica come questione morale, ma anche risulta poco solida come strategia pratica. Mai otterremo risultati finché utilizzeremo la violenza per cercare di creare un movimento sociale a favore dell’abolizione.
Come Mohandas Gandhi sostenne, la forza più potente con la quale opporsi all’ingiustizia non è la violenza, ma la non-cooperazione. Non c’è miglior forma di rifiutare di cooperare con lo sfruttamento dei non-umani che eliminarlo dalla propria vita attraverso il veganismo e il lavoro per educare gli altri perché facciano lo stesso.

E’ inquietante anche vedere fino a che punto PETA impieghi il sessismo nelle sue campagne, letteratura ed eventi. Lo specismo è molto in relazione con il sessismo ed altre forme di discriminazione contro gli uomini. Finché continueremo a trattare le donne come carne, continueremo a trattare i non-umani come carne. E’ un buon momento perché gli attivisti seri chiarifichino a PETA che il sessismo è distruttivo e controproducente.





5. “Da che parte stai?” Buona domanda.

Singer e Friedrich terminano il loro saggio domandando: “Da che parte stai?” Ci dicono che tutti gli sfruttatori di animali si oppongono al benessere animale e chiedono se vogliamo stare dalla parte degli sfruttatori di animali che si oppongono al benessere animale o dalla parte di Singer e Friedrich che appoggiano il benessere animale. Questa domanda di Singer e Friedrich è problematica in almeno due aspetti.
Il primo, assume che se gli sfruttatori di animali si oppongono al benessere animale, deve essere perché il benessere animale è realmente dannoso per gli sfruttatori di animali. Ciò non ha senso e indica ingenuità. Un’industria può opporsi alla regolarizzazione anche quando questa non va realmente contro lei ed anche quando la regolarizzazione può portare benefici. Un caso è quello che comprende l’emendamento federale del 1985 nell’Atto di Benessere Animale, il quale creò “comitati di cura animale” per tutelare gli sfruttatori con animali. Questi comitati non solo hanno sbagliato nell’adeguare alcune limitazioni significative agli sfruttatori con animali, ma hanno anche isolato con efficacia la vivisezione dalla verifica pubblica di più rispetto a prima del 1985. I vivisezionisti si opposero pubblicamente nel 1985 all’emendamento, anche se molti vivisezionisti mi hanno detto in privato che l’emendamento non era, in generale, dannoso alla pratica di utilizzo degli animali. Loro si opposero perché si oppongono al principio di qualunque regolarizzazione governativa sull’utilizzo degli animali. Sarebbe difficile incontrare un vivisezionista che dica, seriamente, che l’emendamento del 1985 ha fatto qualcosa per restringere la vivisezione e molti sono incantati del fatto che adesso possono assicurare al pubblico che c’è un comitato che controlla tutti gli esperimenti con animali.

Il secondo aspetto riguarda il fatto che Singer e Friedrich stanno di fatto sbagliando nel numero di grandi sfruttatori di animali che apertamente e pubblicamente abbracciano le riforme di benessere animale che Singer e Friedrich approvano. McDonald’s ed altri hanno fatto ciò perché comprendono di aver conseguito un accordo. Essi realizzano cambiamenti minimi che sono superati dai vantaggi per i benefici dati dalla grande pubblicità che ottengono da famosi sostenitori del benessere. Un azionista di queste compagnie sarebbe giustificato a lamentarsi se non si fosse accettata l’“offerta” che PETA e altri offrirono se questo potesse solo aumentare la ricchezza dell’azionista.
Anche se generalmente non credo che domande simili come “da che parte stai?” siano di aiuto, farò un’eccezione in questo caso e farò la stessa domanda.

Quindi:

  • Singer sostiene che l’utilizzo di animali di per sè non costituisce un problema morale perchè la maggioranza di non-umani non ha interesse nel continuare a vivere;

  • Singer sostiene che possiamo consumare animali in modo etico;

  • Singer considera che infliggere violenza ai non-umani è un modo accettabile di imparare sullo sfruttamento animale;

  • PETA uccide (“eutanasia” è un termine errato perché implicherebbe una morte per l’interesse dell’animale) milioni di cani sani perché PETA apparentemente accetta la posizione di Singer riguardo al fatto che gli animali non abbiano un interesse fondamentale e moralmente importante nel continuare a vivere. “Diritti animali” significa esecuzioni “umanitarie”.

  • PETA promuove campagne che sono appoggiate dagli sfruttatori corporativi di animali, e concede premi agli sfruttatori di animali.

  • PETA ha distrutto moltissimo il movimento dei diritti animali nel convertire la questione dello sfruttamento animale in un gran colpo di auto-promozione davanti ai mass media, e ha fatto del sessismo un tema constante nelle sue campagne animaliste.


Così… Da che parte stai?



© 2006 da Gary L. Francione. L'autore può essere contattato attraverso la posta elettronica: gfrancione [at] earthlink.net
L’autore non ha revisionato questa traduzione.
Gary L. Francione è Professore di Legge e Filosofia della Scuola di Legge dell’Università Rutgers di Newark, New Jersey. E’ l’autore di Introduction to Animal Rights: Your Child or the Dog? (2000), Animals, Property, and the Law (1995), e Rain Without Thunder: The Ideology of the Animal Rights Movement (1996). Il suo libro più recente è Animal Rights, Animal Welfare, and the Law.

Versione originale in inglese:
http://www.abolitionist-online.com/article-issue05_gary.francione_abolition.of.animal.exploitation.2006.shtml



Uguaglianza Animale non condivide ogni questione espressa dall’autore nell’articolo; ciononostante, consideriamo interessante la sua pubblicazione per il contributo che può dare alla causa dell’uguaglianza animale.

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